La pandemia da COVID prima e la riapertura delle economie poi hanno condizionato i dati macroeconomici, costringendo gli economisti che si basano sui segnali tradizionali di recessione a rivedere continuamente la loro tesi. Di conseguenza, la recessione più attesa della storia a livello globale è in realtà diventata la più ritardataria.
I fattori di incertezza che spingono alla prudenza, tuttavia, non sembrano mancare. L’economia europea appare destinata alla stagnazione nella prima parte del 2024, per poi riprendersi nella seconda metà. In Asia, le prospettive economiche della Cina rimangono poco incoraggianti, con scarsi segnali di miglioramento nel mercato immobiliare, che rimane fragile anche in molti altri Paesi.
Nel frattempo, Stati Uniti, Giappone ed Europa si trovano a fronteggiare un diverso equilibrio tra crescita e inflazione. Di conseguenza, la Fed, la Banca centrale europea e la Banca del Giappone (BoJ) potrebbero perseguire politiche monetarie sempre più asincrone nel 2024, aumentando il potenziale di crescita della volatilità.
Anche l’incertezza geopolitica potrebbe portare ulteriore volatilità, soprattutto se i conflitti in Medio Oriente e in Ucraina dovessero generare un nuovo aumento dei prezzi dell’energia. E intanto, le recenti vittorie elettorali di candidati populisti di estrema destra in Argentina e nei Paesi Bassi sollevano un interrogativo sulla possibilità che altri partiti populisti possano imporsi in altri Paesi, e più in particolare negli Stati Uniti, dove le elezioni di novembre 2024 saranno l’evento politico più importante dell’anno.
Nel 2023, la maggior parte delle economie globali ha mostrato una sorprendente resilienza all’aumento dei tassi (Figura 2) e l’economia americana ha registrato risultati migliori del previsto. I livelli di liquidità senza precedenti generati dal sostegno alla pandemia e da altre misure di stimolo fiscale sono stati un supporto fondamentale per i bilanci delle famiglie e delle imprese statunitensi. L’eccesso di risparmio accumulato dai consumatori dovrebbe continuare a sostenere l’economia USA anche in futuro (Figura 3).
(Fig. 2) Crescita del Pil globale.
(Fig. 3) Depositi e disponibilità di valuta delle famiglie statunitensi.
La spesa per i consumi è stato il principale motore di crescita, grazie soprattutto alla forza del mercato del lavoro. A fine settembre 2023 c’erano 9,6 milioni di posti di lavoro disponibili per circa 6,4 milioni di disoccupati.
Adattarsi a un nuovo regime
Anche se l'economia USA dovesse rimanere solida nel 2024, riteniamo che gli investitori dovranno adattarsi a un nuovo regime di mercato. Per comprendere le implicazioni di questo cambiamento, è utile esaminare i quattro regimi storici che i mercati americani hanno sperimentato dal 1955, dopo che le distorsioni create dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Guerra di Corea si erano in gran parte dissolte.
Anche se non è confrontabile con nessuno dei periodi precedenti, riteniamo che il regime post-pandemia sarà comunque caratterizzato da fattori che hanno prevalso anche in passato. Dato il dissiparsi delle forze strutturali che hanno sostenuto la disinflazione e i tassi più bassi all’indomani della crisi finanziaria globale (GFC) del 2008, un ritorno alla "nuova normalità" post-GFC ci sembra l’esito meno probabile per il futuro.
Guardando al 2024, il rischio inflazione è tutt’altro che scomparso. Anzi, i prezzi dell’energia rimangono un problema a causa delle pressioni sul lato dell’offerta. Nel terzo trimestre 2023, i salari americani hanno continuato a crescere a un tasso annuo di quasi il 4%. Se l’inflazione USA dovesse cambiare rotta e riaccelerare in un contesto di crescita economica che rimane anemica, il rischio di stagflazione aumenterebbe notevolmente.
Quale regime è più probabile che prevalga nel 2024? Le letture recenti dei tassi Fed e dell’inflazione ci riportano alla "vecchia normalità" pre-GFC. Ma il regime più vicino alle condizioni recenti non è la stagflazione, bensì il boom del dopoguerra.
Resta da capire come i tassi d’interesse reali (al netto dell’inflazione) superiori al 2% impatteranno sui mercati. In ogni caso, non crediamo che i tassi elevati affosseranno l’economia americana. Il livello dei tassi è alto rispetto al periodo post-GFC, ma non rispetto alla storia. I tassi Fed sono stati superiori al 5% per decenni e i mercati azionari sono andati bene lo stesso; e l’inflazione “appiccicosa” è stata storicamente positiva per gli utili.
Neutrali sugli asset rischiosi
Nonostante le incertezze macroeconomiche, non vediamo ragioni per essere eccessivamente ribassisti. I segmenti di mercato che non hanno valutazioni troppo elevate, come le small e mid-cap o i titoli legati ad asset reali, appaiono interessanti su base relativa. Un’eventuale impennata della volatilità, seguita da un sell-off sui mercati, potrebbe essere un’opportunità per acquistare azioni.
Allo stesso tempo, riteniamo che questo non sia il momento giusto per fare grandi scommesse da un punto di vista tattico. La recente "dis-inversione" della curva dei rendimenti americani potrebbe far presagire un aumento della volatilità nei prossimi mesi sia per le azioni sia per le obbligazioni. Riteniamo che l’approccio migliore sia quello di rimanere neutrali sugli asset rischiosi, azioni comprese.
Con i tassi d’interesse USA più vicini alle loro medie storiche, un portafoglio bilanciato potrebbe offrire un vantaggio in termini di diversificazione, considerando l’elevato reddito delle obbligazioni. Tuttavia, è probabile che i tassi d’interesse rimangano volatili nel 2024, per cui preferiamo mantenere un sovrappeso sulla liquidità o sulle obbligazioni a breve termine. Sono asset che offrono rendimenti interessanti con un'esposizione minima alla duration e potrebbero essere potenziali fonti di liquidità in caso di nuove opportunità sui mercati.
Per gli investitori che guardano al di là del tradizionale portafoglio azionario/obbligazionario 60/40 e sono disposti ad assumersi un rischio maggiore, privilegiamo anche le alternative con correlazioni più basse agli asset tradizionali e ai mercati che potrebbero trarre vantaggio da potenziali disallineamenti e rendimenti più elevati, come il credito privato.
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Justin Thomson
Head of International Equity e Chief Investment Officer
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